Se ricordiamo bene sei stato candidato del PD alle ultime elezioni regionali e, nel 2018, hai provato a raccogliere le firme necessarie per partecipare alle primarie in alternativa alla candidatura di Bruno Valentini. Ora ti sei dimesso.
L’11 aprile scorso mi sono dimesso dall’Assemblea comunale e sono uscito dal Partito Democratico. Ho ritenuto giusto e corretto aspettare gli esiti del Congresso Nazionale e le sue conclusioni purtroppo sono lontane dalla mia prospettiva politica pragmaticamente e rigorosamente riformista. Nel 2018 ho cercato di portare il mio contributo non soltanto come membro della segreteria con delega all’urbanistica, ma tentando inutilmente di costruire le condizioni perché il Partito si confrontasse con le primarie (28 marzo 2018), convinto che potessero essere un viatico essenziale volto al rinnovamento e a catturare l’interesse dei cittadini per una campagna elettorale che poi si è dimostrata disastrosa. Non starò qui a rivendicare un diritto, a mio parere acquisito, che mi fu negato per ripicche personali e prese di posizione correntizie interne al partito ma sono convinto che quella sia stata una grande occasione persa per manifestare pubblicamente una doverosa partecipazione democratica volta ad avere un sicuro riscontro in termini elettorali. Qualche settimana dopo assistemmo al disastroso risultato elettorale.
Così come nel 2020, quando mi fu chiesto dalla corrente di Riformisti di partecipare alle elezioni regionali. Anche in questa occasione l’atteggiamento all’interno del Partito nei miei confronti non cambia. Si fa di tutto per ostacolarmi. Fin dall’inizio non riesco ad ottenere alcun abbinamento determinante in quota rosa cosa che mi costringerà a correre da solo senza alcuna probabilità di successo. Risultato? Voti presi: in provincia 555, a Siena 416, totale 971. A colpo d’occhio, di fronte ad una prestazione direi più che significativa per una corsa “in solitario”, ad un buon riscontro personale ma soprattutto di notevole supporto al Partito e al candidato presidente, uno si aspetterebbe quanto meno un “grazie”. Silenzio assordante e una telefonata a denti stretti dopo più di un mese da parte del segretario Roncucci (Valenti ha avuto quantomeno il tatto e la sensibilità di mandarmi un messaggio a fine compagna elettorale).
Conosci bene il PD dall’interno. Chi è che decide davvero nel partito cittadino?
A Siena, il PD è in mano a pochissime persone che operano per il proprio vantaggio ignorando gli interessi della maggioranza, un gioco fatto di burattinai e burattini parzialmente celato dietro il velo di Maya della democratica libertà di espressione. Molte volte in Segreteria, in Direzione e in Assemblea, ho provato a parlare di politica vera, quella del confronto delle idee e dei programmi per la città e non quella di infimo livello dei piccoli giochi di potere personali e delle faide interne che hanno portato il PD senese al punto in cui si trova adesso: poco più di quattrocento iscritti con un’età media molta alta e una pressoché inesistente capacità attrattiva nei confronti dei giovani.
Che cosa secondo te ha impedito che il Pd senese sostenesse la promessa che Letta fece girare a suo tempo di non presentare simboli di partito alle imminenti amministrative 2023 come già fatto per le politiche suppletive del 2021?
Rinunciare al simbolo avrebbe significato riconoscere la debolezza dell’immagine del partito traducendo il pensiero “ideologico” in uno movimentista a trazione “cattolica”. Questa idea è naufragata insieme alle dimissioni di Letta e il PD senese ha pensato, giustamente, di riproporre il simbolo. Una scelta che si sarebbe dovuta misurare con la stessa incapacità del Partito di attrarre quell’elettorato che si riconosce nell’alveo del centrosinistra ma che, allo stesso tempo, rifiuta l’idea di un partito cittadino lento, vecchio, autoreferenziale, incapace di mettere in campo idee concrete per far ripartire la città. Insomma, l’Assemblea Comunale avrebbe dovuto farsi carico di proporre, insieme al simbolo, un candidato a Sindaco con caratteristiche totalmente diverse da Anna Ferretti, dando così una risposta forte a chi, giustamente, lo ritiene responsabile della disastrosa gestione di Siena per almeno un ventennio.
Secondo te la candidatura di Anna Ferretti ha convinto tutto il partito e, soprattutto, è in grado di convincere gli elettori che sperano ormai da dieci anni in un rinnovamento del PD?
Se il PD senese si compatta intorno ad una persona significa che le varie correnti che lo compongono sono state soddisfatte o che si consegnano al più forte. O meglio: i leader delle varie correnti che, per convenienza, si allineano su un candidato moderato, facile da gestire.
Ormai sembra assodato che nessuno dei candidati a sindaco potrà passare al primo turno e i sondaggi che girano indicherebbero come favoriti Nicoletta Fabio, Anna Ferretti e Fabio Pacciani; salvo il caso improbabile di un ballottaggio Ferretti-Pacciani, chi tra i due pensi che avrebbe maggiori possibilità oggettive di battere la destra? E in base a quali considerazioni e valutazioni?
Sono convinto che se Fabio Pacciani dovesse arrivare al ballottaggio, avrebbe grandi possibilità di vincere le elezioni mentre nel caso di un secondo turno tra Ferretti e Fabio il risultato sarebbe molto incerto. Sappiamo bene quanto l’elettorato senese sia fluido ed in grado di sovvertire un pronostico apparentemente scontato.
Pensi che, di fronte alla volontà di riaffermazione delle logiche di partito, il civismo politico possa svolgere un ruolo effettivo di rinascita popolare?
Penso di sì. Certo, si tratta di un lavoro complesso e di non breve durata, ma non impossibile.
Quale importanza pensi che possa rivestire per il futuro della città, la proposta civica di affermare e perseguire percorsi fortemente partecipativi nei futuri metodi di governo?
È e dovrà essere la spinta propulsiva. Un percorso partecipativo in grado di andare oltre l’ascolto deve essere alla base di ogni buon governo a cui seguirà la fase successiva in cui ci si dovrà prendere la responsabilità e l’onere delle scelte da mettere in campo che non potranno essere sempre condivise da tutti.
Come vedi la figura di prossimo sindaco di Fabio Pacciani? Pensi che sia una persona facilmente condizionabile o che, come promette, si voglia far condizionare solo dalla partecipazione reale dei cittadini?
Credo che sia una persona molto determinata e dubito fortemente che possa essere eterodiretta da chicchessia per soddisfare interessi singoli a discapito della comunità, comunità a cui tiene molto. Quindi credo fortemente che abbia tutti i requisiti per poter essere amministratore/cittadino tra i cittadini.
Cosa pensi del fatto che il Programma del Polo Civico Siena è stato definito da decine e decine di incontri coi cittadini, da due convegni sul civismo politico e da tre oper space technology? In ogni caso, anche a voler prescindere dal metodo adottato, come giudichi tale Programma?
Credo che sia la prima volta che un programma non viene calato dall’alto, ma si presenta come risultanza complessiva di una reale partecipazione. Nei contenuti vedo un programma chiaro dove si parla anche di visione e di bellezza, due invarianti strutturali essenziali necessarie a declinare tutti gli altri contenuti dalle infrastrutture, al sociale, alla sanità, alla cultura, all’urbanistica, al turismo, alle scienze della vita, all’Università. È solo attraverso una visione chiara di ciò che si vuole realizzare nel corso di una legislatura e nella più lunga prospettiva che si possono fare interventi concreti migliorativi. La bellezza è insita nel DNA di Siena, “una piccola città più bella del mondo”. Non va creata: c’è! Va enfatizzata, valorizzata e portata al limite massimo delle sue potenzialità attraverso un programma che ne determini il tracciato. L’astrattismo programmatico degli altri candidati (soprattutto quelli di espressione partitica) è volto all’enunciazione dei grandi temi, sempre i soliti, spesso vaghi, destinati a rimanere su carta, nella migliore delle ipotesi. In conclusione: il programma è serio e ben articolato. Dovrà però essere capace di far emergere le grandi potenzialità e peculiarità della città che sono un quid certo difficile da gestire ma ineludibile se si vuole veramente parlare del futuro.