Siamo riusciti a sbirciare le fresche motivazioni della sentenza del Tribunale penale di Milano, che ha condannato Mussari, Vigni, Nomura, Deustche Bank e un gruppetto di capi e “apicali” (come si legge) interni ed esterni a BMPS e, nonostante ci difetti ogni competenza contabile e/o finanziaria, abbiamo notato — da cittadini comuni — un po’ di cosette che vorremmo condividere in termini comprensibili a tutti (per primi a noi medesimi).
Ai vari imputati sono stati contestati molti capi di imputazione, cioè reati, legati tutti — recita la sentenza — da una comune finalità: quella di definire e attuare un vasto “programma di finanziamento per trovare le risorse finanziarie necessarie all’operazione di acquisizione di Antonveneta”. A tale finalità, insomma, si riconducono sciocchezzuole come: A) l’aver riportato a bilancio utili di esercizio in luogo delle perdite; B) l’avere diffuso notizie false al mercato; C) l’avere ostacolato le funzioni di vigilanza D) l’avere omesso le prescritte comunicazioni ai medesimi organi E) l’ avere ingannato i destinatari dei prospetti informativi, vale a dire i risparmiatori F) l’ avere diffuso false informazioni con occultamento dei dati.
In pratica hanno comprato una cosa piena di debiti (l’Antonveneta) e che non valeva il prezzo pattuito e l’hanno fatto senza avere le risorse necessarie per pagare; perciò hanno condotto operazioni spericolate (come se un padre di famiglia prendesse soldi a prestito col 30% di interessi per comprare una Ferrari rugginosa e col motore rotto) nascondendole a tutti per non farsene accorgere e continuando a passare da geni della finanza.
Abbiamo anche visto che, tra le costituzioni di parte civile, figurano la Consob, la Banca d’Italia, le associazioni dei consumatori, la Coop, centinaia e centinaia di singoli risparmiatori, la Fondazione MPS, ma non l’Associazione Buongoverno dei Piccoli Azionisti MPS la quale, essendo nata nel 2012, non aveva i requisiti per partecipare ad un processo riferito a fatti avvenuti tra il 2008 e il 2012 (vedasi anche commento in calce).
Abbiamo anche notato che i reati sono stati ascritti ai vari “apicali” (tra cui il direttore generale Vigni) e ad un solo e unico amministratore e, cioè all’avvocato Giuseppe Mussari; segno che le indagini hanno accertato che il presidente del consiglio di amministrazione ha fatto tutto da solo senza coinvolgere in alcun modo il consiglio che ha assunto tutte le proposte, senza mai nulla obiettare come accertato anche dal dibattimento che ha rivelato come, per alcune operazioni, il Cda non è stato nemmeno informato (e poi ci si lamenta se la città non ha reagito!).
La prima parte della sentenza riguarda l’operazione Fresh. E qui troviamo anche una notazione che muove noi profani a sorrisi amari; a pagina 277 così scrivono i giudici: “gli imputati si sono difesi per lo più affermando di avere avuto un ruolo marginale nelle operazioni o comunque non decisivo.… chi era ai vertici di BMPS ha dichiarato che delle .…operazioni si erano occupati i componenti delle strutture tecniche … mentre … le strutture apicali avevano avuto soltanto una conoscenza sommaria… Dal canto loro.… gli imputati che facevano parte delle strutture tecniche hanno evidenziato l’assenza ..… di poteri decisionali e il coinvolgimento dei vertici in quelle che erano state le scelte decisive.…” Questa, a seguire le difese, è la conclusione dei giudici: …“chi conosceva le operazioni non aveva il potere di decidere se e come attuarle, mentre chi aveva tale potere non le conosceva bene.…”.
Non mancano imputati che, dopo avere ammesso di avere firmato carte e documenti delle varie operazioni oggetto di indagine .… hanno anche precisato di averle firmate magari alle 8 di sera e senza rendersi perfettamente conto della loro portata. Insomma la sentenza ci racconta che al Monte i banchieri prendevano laute retribuzioni e firmavano senza leggere i documenti che venivano loro sottoposti.
Antonio Vigni, castelnovino, direttore generale dal 2006, oggi titolare di una pensione INPS di alcune decine di migliaia di euro mensili, si è difeso sostenendo di essersi occupato delle operazioni contestate in modo marginale e superficiale e di essere stato mero sottoscrittore inconsapevole di documenti studiati e predisposti dalle strutture tecniche e da un avvocato esterno (sic). Qualcuno ha commentato che, per fare questo, poteva bastare anche un usciere qualsiasi.
Un’altra (drammatica) risata la sentenza ce l’offre involontariamente a pagina 298 allorchè riferisce che Giuseppe Mussari, almeno nel primo interrogatorio davanti al PM, ha negato non solo qualsiasi contributo all’operazione Fresh, ma anche di avere preso parte alle trattative per l’acquisizione di Antonveneta. Al contrario la sentenza dichiara come dagli atti processuali risulti assodato che Mussari fissò personalmente il prezzo di Antonveneta con Emilio Botin (Santander) portando poi personalmente la proposta al Consiglio di amministrazione del 8 novembre 2007.
Sulle operazioni Santorini e Alexandria, la sentenza è costretta a fermarsi particolarmente sugli aspetti tecnici per arrivare a pagina 358 all’affermazione che le medesime operazioni, caratterizzate da particolare complessità, non sono “né ordinarie né standard sul mercato” ma sono state appositamente costruite e confezionate da JPMorgan (messasi a disposizione del Monte) per la successiva attuazione a cura di Nomura International e da Deutsche Bank, banche di investimento e intermediari internazionali; in questo quadro la questione di verità che il processo ha dovuto risolvere è stata quella di cosa fossero realmente queste operazioni finanziarie, quali finalità perseguissero, quali rischi nascondessero, e come le due operazioni avrebbero dovuto essere rappresentate in bilancio in modo completo e trasparente.
Eseguita dunque una complessa definizione della natura economica sostanziale delle due transazioni Alexandria e Santorini e stabilito che queste dovevano essere contabilizzate ogni anno secondo il loro carattere pesantemente negativo per il Monte, la sentenza passa a valutare i processi approvativi seguiti e i ruoli non solo delle persone fisiche imputate nel processo, ma anche di altre per le quali il Tribunale ha deciso di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica.
A pagina 639 la sentenza mette in chiaro che l’operazione Santorini — puntualmente e sempre dettagliata al D.G. Vigni — non è mai passata dal consiglio di amministrazione ed è “sfuggita ai controlli del Risk management”.
Alla pagina 710, poi, il Tribunale riporta la posizione difensiva di Mussari (“ho fatto quello che mi hanno detto di fare non avendo le conoscenze tecniche..”) e di Vigni (“ho una storia e una preparazione professionale di tipo commerciale e mi sono affidato ai competenti”) e anche tutti gli altri protagonisti hanno detto nella sostanza di non averci capito gran che.
Invero la sentenza ricorda che Mussari era stato per sei anni presidente della Fondazione MPS e erano diversi anni che era presidente della Banca; ricorda inoltre che, nel 2011, imparato magari qualcosa, ha collaborato ad un bel libro intitolato “Gli strumenti della crisi e i derivati finanziari, aspetti giuridici, tecnici e psicologici”; tanto è vero che — ma questo la sentenza non lo dice — passato da avvocato di provincia a banchiere, venne poi eletto presidente dell’ABI.
Con tale posizione difensiva gli imputati provano palesemente a nascondersi dietro la straordinaria complessità di queste operazioni finanziarie (cui la sentenza fornisce amplissimo spazio), complessità artificiosamente organizzata per i fini dell’assunzione di enormi rischi di credito e di liquidità che non avrebbero poi trovato evidenza nei numeri di bilancio. Vendite fittizie consapevoli, obiettivi contabili illeciti, violazione intenzionale delle regole contabili, iniezione artificiosa di rischio, malafede degli imputati: queste le conclusioni della sentenza di primo grado.
A pagina 823 si spiega la finalità perseguita dagli imputati: quella di ottenere per sé un illecito profitto che non si misura solo in termini direttamente monetari ma come vantaggi e utilità derivanti dal presentare bilanci “migliori” coerenti con gli obiettivi prefissati e con i vantaggi personali in termini di carriera o di commissioni e bonus percepiti con la conclusione delle operazioni finanziarie. Detto en passant, per noi profani risulta anche difficile comprendere come la “nostra” grande banca non fosse in grado di badare a se stessa e non avesse le competenze interne senza ricorrere ai “servigi” di JPM, di Nomura, di Deutsche Bank e di tutti i consulenti che lucravano commissioni e bonus (la sentenza riferisce anche di mail di JPM a Mussari in cui si dichiarava — usando in italiano il “tu” — che sarebbero sempre stati disponibili ad aiutare il Monte; “sai che puoi sempre contare su di noi”).
La sentenza — insomma — mette bene in rilievo che le operazioni finanziarie servivano a risolvere i problemi di bilancio e a far vedere che le cose andavano bene per non avere ripercussioni sul mercato.
I 13 imputati sono stati condannati — piccola curiosità — a rimborsare le spese legali delle parti civili per un importo complessivo (dal conto abbiamo tolto i centesimi) di un milione e settantunomilaquattrocentotrentasette euro.
Queste sono le cose lette nella sentenza. Poi abbiamo chiesto all’avvocato Massimo Rossi, penalista, di darci le sue prime impressioni.
Avvocato Rossi, sembra che i giudici non si siano risparmiati.
Leggeremo le motivazioni. Fin d’ora sembra potersi affermare che i giudici hanno fornito molti dettagli del dato contabile, ma anche patrimoniale e dunque economico della banca. Tra l’altro gli elementi emersi nel corso del giudizio non valgono solo per le persone o gli enti condannati in primo grado, ma estendono una qualche rilevanza anche agli amministratori successivi che hanno continuato nel tempo a considerare i bilanci come veritieri. Ciò potrebbe comportare che, di fatto, anche i bilanci successivi al 2012, non possano considerarsi tali. E la questione si trova all’attenzione della terza sezione del Tribunale di Milano e del GIP dott. Guido Salvini.
Se i giudici hanno riempito 1200 pagine vorrà dire che sono riusciti a ricostruire i fatti che stanno alla base della decisione?
Sicuramente la sentenza contiene tutta la storia della genesi di queste operazioni finanziarie e di come sono state contabilizzate che, per i loro effetti, si sono sommate alle conseguenze prodotte dall’acquisto di Antonveneta, aggravandole e mettendo la banca in una condizione di mancanza di liquidità e dunque in default. La parola è brutta ma veritiera: il Monte è tecnicamente fallito. Sull’elemento ricostruttivo fattuale si tratta di una sentenza importante entrata nel dettaglio delle varie posizioni processuali. Inoltre sappiamo che ci sono le posizioni delle banche (Nomura e Deustche).
Ecco, che si può dire su questo?
Circa questi intermediari finanziari ci sarebbe un’altra osservazione da fare perché questi organismi hanno poi concluso delle transazioni con le parti private mentre erano sotto processo, il che farebbe pensare ad un implicito riconoscimento di responsabilità ai successivi fini di una possibile richiesta di risarcimento civilistico. Del resto i giudici penali hanno emesso una condanna generica e non hanno liquidato i danni rinviando e riservando alla sede civile.
Dunque una sentenza importante?
Sicuramente importante, ma non solo e non tanto per l’accertamento delle responsabilità penali, quanto per l’accertamento dei fatti storici; accertamento che dovrebbe avere chiarito in senso cronologico e in senso spazio-temporale cosa è veramente accaduto. Ovvio che i giudici non fanno la storia, ma compiono la ricostruzione puntuale delle vicende e degli avvenimenti come si sono verificati.
Come si collega questa sentenza a quella di Siena di condanna poi ribaltata in appello e confermata in cassazione?
Sono stati processi di contenuti e di caratteristiche diverse. Ora servirebbe un’informazione la più completa possibile (certo non tutti potranno leggere tutta la sentenza) e soprattutto servirebbe un’informazione meno approssimativa e non edulcorata, parlo della stampa locale, come purtroppo avviene frequentemente.
Errata corrige.
L’Associazione Buongoverno Piccoli Azionisti della BMPS ha chiarito per quali motivi non si trova tra le persone fisiche e/o giuridiche costituite parti civili in questo processo. Il fatto è che, essendosi costituita nel 2012 e trattando il processo fatti avvenuti dal 2008 al 2012, i Giudici hanno ritenuto che, nonostante si fosse già in precedenza costituita parte offesa, non avesse i requisiti per ottenere la costituzione di parte civile. In ogni caso l’Associazione precisa che molti dei singoli associati si sono costituiti personalmente.
Ma il numero della sentenza?