C’era una volta un sindaco assessore alla cultura che pensò di passare alla storia come l’artefice del restauro dell’affresco del Buon governo, ma, nella sua smisurata presunzione, non immaginava nemmeno che queste operazioni dovessero essere affidate subito a persone competenti. Quel sindaco/assessore si chiamava Luigi De Mossi. Fu così che la cosa si impantanò e passò poi nelle mani di una sindaca anche lei assessora alla cultura.
Scrive ora Gabriella Piccinni, consigliera PD e medievalista di lungo corso, studiosa e saggista, nella sua pagina facebook
DOPO TRE ANNI SIAMO PUNTO E A CAPOQuesto capolavoro dell’arte universale non trova pace, pur trattandosi della più importante ricchezza culturale delle città, dopo i tesori del Duomo. Da tre anni sotto ponteggio, con tempi inspiegabilmente lunghi in mancanza di un cantiere di restauro attivo. Da tre anni in attesa di una promessa Commissione scientifica e consultiva che coinvolga “istituzioni di eccellenza tecnica e scientifica”. Da tre anni sottratto all’ammirazione e alla meditazione dei visitatori, tranne poche parentesi di visite guidate a pagamento. Tre anni perduti in attesa di capire se l’intervento, nato come uno ‘spolvero’ di routine per trasformarsi in corso d’opera in un’ipotesi di restauro, tornerà alla fine all’ipotesi originale. Forse. Non si sa.
La professoressa Piccinni ha fatto sul punto tre interrogazioni tre e oggi la sindaca si dichiara “preoccupata”. In effetti, dopo tre anni di indagini diagnostiche, Nicoletta Fabio, nonostante gli impegni assunti, ha dovuto ammettere di non aver ancora nominato la commissione di consulenti che dovranno guidare l’intervento.
Situazione bizzarra. Viene da pensare che i boss dei partiti che la dirigono (la Fabio) non abbiano ancora trovato esperti sufficientemente vicini alla maggioranza. Forse dovrebbero sentire Giuli.

Intanto non si è riusciti ancora a stabilire se gli affreschi abbiano bisogno di un semplice “spolvero” — o periodica ripulitura — o di un vero e proprio restauro. Dice Gabriella Piccinni che questo dato di fatto
conferma, purtroppo, che fin dall’inizio si è sbagliato a non rivolgersi alle figure fondamentali in ogni operazione di restauro, cioè gli storici dell’arte. Perché un restauro non è solo un intervento tecnico o materico, è interpretazione, è memoria dei restauri precedenti, è lettura delle stratificazioni, confronto multidisciplinare. Nessun professionista, per quanto qualificato, può affrontare un intervento di questa portata, senza il supporto di competenze varie; nessuno può essere immaginato come un genio solitario cui chiedere soluzioni brillanti. Qui l’idea brillante è già stata partorita 687 anni fa.
La cosa assume contorni di ulteriore preoccupazione perché l’ex civica Santa Nicoletta, sempre più ostaggio dei partiti di destra e che ha dimostrato di fare solo le nomine che i partiti le impongono, ha parlato pochi giorni fa di “buchi” presenti sulla superficie dell’affresco… termine poi ridimensionato.
Comunque ci dice Piccinni che, anche se sussisterebbero serie esigenze che l’affresco diventi nuovamente fruibile, non sarebbe corretto rimuovere
il ponteggio proprio nel momento in cui inizia a lavorare la commissione di esperti che deve prendere, si spera, le decisioni più importanti. Come potranno costoro farsi idea delle reali necessità se non potranno salire sul ponteggio e verificare da vicino e di persona il risultato dei saggi pilota, magari anche tranquillizzando definitivamente l’opinione pubblica sulla natura di quegli inquietanti “buchi”?
Così sorge — è sempre Piccinni a scriverlo — la domanda più generale

A CHE SERVE LA TECNOLOGIA SE NON È ORIENTATA DA UN PROGETTO CULTURALE? Viene da chiedersi quale sia stata l’utilità delle tecnologie avanzate e della digitalizzazione millimetrica presentata con enfasi due anni fa: se tutte quelle indagini non sono servite a guidare il restauro, né a comunicare i risultati, né a costruire un percorso di conoscenza per la cittadinanza e i visitatori, allora sono state strumenti sterili. La tecnologia, se non orientata da un progetto culturale, è inutile quanto può essere grave la sua assenza.
E, da qui, la pesante constatazione: Siena, che si è impegnata a scegliere Valeria Marini come madrina della sua stagione teatrale facendola incedere sul rosso tappeto, non riesce nemmeno a “tenere insieme conservazione e innovazione in un progetto culturale coerente”, financo allorché si tratta di uno dei suoi tesori più importanti che la rende famosa nel mondo.
Questo sembra il “pasticciaccio” abbastanza brutto da poter essere assunto come simbolo visibile e generale per tutti gli altri pasticciacci che via via ci è toccato e ci tocca registrare, simbolo di cambiamenti mai avvenuti o, semmai, avvenuti in pejus.