A noi — cari tutti — interessa la partecipazione e sappiamo che, per partecipare, bisogna prima capire di cosa si parla anche a costo di banalizzare con ferocia radicale.
Sul Corriere Fiorentino si è aperto il dibattito sulla Grande Siena. Ma, alla fine, si può sapere che vuol dire?
Ne ha parlato Barzanti, anche da questo Blog e il Corriere chiese subito a De Mossi cosa ne pensasse definendola come “l’alleanza, se non l’unione coi Comuni più vicini”.
Il Sindaco rispose : “non ho mai pensato che Siena potesse vivere isolata e sto collaborando con gli altri sindaci” aggiungendo subito che la formula andava “ripensata” e che “Siena deve essere il capofila di tutto il comprensorio”. Chiaro che il Sindaco non vuole né “alleanza” né tantomeno “unione” (del resto si è visto finora che il Comune si tira fuori dalla Fondazione Musei Senesi e critica forzatamente ogni organismo sovracomunale e perfino la Società della Salute senese, consorzio di cui fa parte e che funziona piuttosto bene).
Barzanti rispose il giorno dopo in modo articolato, ma, sul punto, volle chiarire che, a suo avviso, “la formula Grande Siena non allude alla definizione di un’area (relativamente) vasta e chiusa in se stessa... ma vuol dare “…qualità urbana ad una città “reale” in grado di costruire…legami … tra uno straordinario capoluogo e l’immediato hinterland”. Idea forte, ma che non accenna alle modalità di organizzazione del più vasto territorio, né al possibile percorso da compiere e sembra più riferita ad una generale collaborazione per temi senza adombrare interventi organizzativi e istituzionali.
Anche Pierluigi Piccini — intervistato subito dopo — non esita a dichiarare — dentro un intervento teso alla denuncia e al superamento delle rendite di posizione parassitaria — che “una cosa deve essere chiara: Siena. senza il territorio che c’è intorno, non va da nessuna parte, perché è fuori dalle mura che si produce”. E’ la Grande Siena, idea finora irrealizzata, dice l’intervistatore. E Piccini risponde: “e purtroppo temo che resterà tale con questa amministrazione, perché nel piano operativo che ha presentato la Giunta De Mossi non c’è nulla al riguardo”. Verità sacrosanta anche se non sono mancate, a questo proposito, notazioni critiche sul suo passato di sindaco; per noi contano più i contenuti delle idee che gli autori e crediamo che bisogna dare a tutti la possibilità di cambiare idea e atteggiamento.
Allora il Corriere Fiorentino ha chiesto a Cataldi, rettore dell’Università per Stranieri: per lui la Grande Siena non può avere un “significato geografico” ma deve mettere in relazione “il piccolo centro con il mondo tutto intorno” attraverso la “rete della comunicazione”.
Raffaele Ascheri, dal canto suo, blogger un tempo asprigno ed oggi convertito, si limita a sostenere che “bisogna collegare più possibile il territorio per parlare ad un turismo più colto e lento” e chiede l’intervento dei nostri vip nel mondo a cominciare da Gianna Nannini; della Grande Siena nulla dice.
La Confindustria, per bocca di Laura Meucci presidente delle Terme di San Giovanni, afferma che il vero problema è che “la Grande Siena non c’è mai stata; ogni reparto è andato per conto suo, la città si è accontentata del surplus di posti letto dato dal turismo di massa”. Difficile darle torto, non vi pare?
La stessa domanda è stata rivolta al prof. Riccaboni, già rettore dell’Università: la sua risposta è suggestiva: “il virus ha paradossalmente colmato uno dei grandi punti critici che da sempre l’ha caratterizzata: il suo essere periferia”. Ora che tutti dovranno essere connessi virtualmente — sembra di capire — per Siena sarà tutto più facile. Bello! E la Grande Siena, che fine ha fatto? Riccaboni non lo dice, ma le sue tesi sembrano negarne perfino la rilevanza: se posso collegarmi col mondo, a maggior ragione potrò collegarmi con Sovicille… Monteroni … Arbia… Belverde.…Uopini. Anche il cittadino di Castelnuovo che si trova nella riva destra di Quercegrossa, potrà collegarsi facilmente con il negozio della riva sinistra in territorio del Comune di Monteriggioni. Ma, forse, non era questo il senso della domanda.
Poi sono intervenuti sul Corriere Fiorentino Paolo ed Augusto Mazzini, architetti e urbanisti, già assessori comunali a distanza l’uno dall’altro di quasi cinquant’anni, che tentano una definizione avvertendo che, se, da un lato, Siena ha bisogno di mantenere la sua “antica coerenza”, non è possibile prescindere da una “difficile ma fondamentale ridefinizione della sua dimensione territoriale”. Ed è questo — ci sembra — il primo cenno concreto.
Spiegano i Mazzini: “Siena ha già il privilegio di essere, insieme, città e campagna… che giunge alle mura della città e le attraversa fino al cuore stesso del centro storico e … quando si parla di «senesità» si dovrebbe sempre riferirsi a questa unicità… salvaguardare e attualizzare questo carattere è la sfida che le nuove tecnologie.… potrebbero arricchire di nuove possibilità..”
Ma questo, ecco la domanda cruciale, è sufficiente? Secondo Paolo e Augusto Mazzini: “la ridefinizione della dimensione territoriale di Siena si accompagna e dà prospettiva … ” a quella unicità peculiare. “Basta infatti leggere la differente estensione amministrativa tra i Comuni di Siena e quelli di Arezzo e Grosseto: con tutte le conseguenze di governo del territorio, mobilità, demografiche ed economiche. Non è una questione di retrograda mania di grandezza, ma lo è della corretta funzione ambientale, del rapporto tra le parti, della possibilità di governare Siena e il suo territorio correggendo storture che si sono prodotte nel tempo e indicando direzioni e, soprattutto, una visione… ”
Una “visione” della città — dunque — nel “suo” territorio, un’idea di città, insomma, che comprende di necessità anche la sua dimensione.
Motivano così i Mazzini: occorre “rendere possibile il mantenimento e l’arricchimento di un territorio e della sua forma” e per fare questo serve “una nuova dimensione urbana entro cui i Comuni facenti parte della «Grande Siena» acquisirebbero maggiore forza e strategicità. Una nuova dimensione innervata dal «carattere» di cui sopra e da una rete — fisica e virtuale — di comunicazioni e partecipazione, rete che oggi potrebbe tenere strettamente insieme tutte le parti, con eguali opportunità per tutti. Se affrontassimo le due questioni insieme, coglieremmo un straordinaria occasione per fare della Siena esistente una madre generosa e degna di crescere in maniera più coerente con il proprio carattere e con il proprio destino”.
Grazie Augusto. Grazie Paolo. Ormai è certo che non ci riusciremo mai per via di una classe dirigente che non intende rischiare — oggi ancor meno che in passato — alcuna riduzione di posti e di piccolo potere. Ma qualcuno, almeno, lo ha detto. E lo ha detto chiaramente.
Molti dei personaggi intervenuti,se non tutti,hanno precise responsabilità politiche e professionali per aver ridotto Siena nella situazione attuale :basti pensare allo spopolamento tenacemente ( e tecnicamente) perseguito a beneficio dei comuni limitrofi i quali,giustamente,ne hanno approfittato.Oggi si piange sul latte versato ma come si dice a Siena? “cacio vinto un si rigioca”.
Nessuno ha il coraggio di indicare una data in cui è iniziato lo sfascio di Siena come città:il 5 luglio 1964,la pluricelebrata data della chiusura del centro storico avvenuta per precisi motivi ideologici e senza che i cervelli pensanti senesi dell’epoca si fossero posti qualche considerazione sulle conseguenze indotte sia dal punto di vista sociale,commerciale,della mobilità e relativo inquinamento,di fatto spostato sempre più in là.Come ai bei tempi medioevali,quando bastava affacciarsi alla finestra per avvisare che il vaso della notte si sarebbe scaricato nella strada sottostante al semplice avviso di “butto hè!”.
Che urbanisti,che scienziati…!
Ora è chiaro che chi ha creato il problema non può essere creduto capace di risolverlo.E infatti siamo ancora a discettare sulla “Grande Siena”, sulla Ypsilon”… e mentre città come Arezzo e Grosseto dal dopoguerra hanno raddoppiato i loro abitanti Siena è regredita al rango di paese.Tutto questo vorrà dire qualcosa o no?
Proviamo allora a ribaltare il problema,siano le comunità limitrofe a fregiarsi, tutte, di” Comune di Siena “insieme all’attuale nostroCentro Storico.Tanto il territorio extra moenia(quello fuori delle mura)di fatto per buona parte si sente estraniato e già orbita nei territori limitrofi per evidenti motivi di mobilità e di praticità.
Dovrei forse inserire questo mio intervento come risposta a “Uno di Valli”, perché se vogliamo fare un discorso serio e equilibrato bisogna prima tracciare una linea di partenza, o porre l’asticella ad un certo livello. Premetto che per lavoro ho frequentato molto sia Arezzo che Grosseto, anche come domicilio. Faccio quindi una domanda. Su quale fondamento si basa un paragone di queste due città con Siena ? Fra centri in gran parte artefatti, e Siena, che per l’integrità del suo centro storico medievale è divenuta sito UNESCO ? E andando poi oltre le Mura (anch’esse più o meno contraffatte), è possibile confrontare città che hanno periferie qualitativamente così diverse ? Non solo esteticamente, ma anche per funzioni e servizi ?
E qui entro nel merito del dibattito: la dimensione non è assolutamente misura di benessere, e meno che mai lo è il numero di abitanti. La “grande Siena” non deve essere vista come espansione urbanistica (senz’altro errata la prospettiva di Cenni sulla “città dell’Arbia”, naufragata per megalomania prima che per crisi locale); piuttosto come aggregazione di territori finalizzata si all’ottimizzazione di servizi comuni, ma soprattutto allo sviluppo di funzioni complementari. Quindi non tanto (o non solo) in ottica di risparmio sui servizi (l’unione), quanto di sviluppo sistemico di funzioni storiche (agricole, turistiche, culturali), senz’altro da “modernizzare”. Grazie in parte alla tecnologia, ma soprattutto alle ovvie peculiarità del territorio. Serve tornare all’”antica coerenza” di cui parlano i Mazzini; chiunque abbia minime capacità di leggere il territorio può comprendere la loro corretta visione. Le valli verdi che compenetrano il centro storico, connettendo città e campagna, interrotte solo dalle Mura, e da decenni abbandonate (le une e le altre), devono essere ambito e strumento di un rilancio che passi dalla loro matrice agricola (ortofrutticola), ma che vada poi ben oltre. L’”attualizzazione” di questa “unicità” deve ad esempio passare dalla valorizzazione delle sconosciute emergenze storico architettoniche in esse disperse, riconnettendole (in modalità dolce) alla campagna tramite percorsi storici dimenticati nel tempo, che costituiscano l’accesso per un turismo esperenziale finora tenuto artificiosamente lontano dal capoluogo, ma ben radicato nei comuni limitrofi.
E’ la visione del “Parco delle Mura”, da tempo promossa da varie associazioni della cittadinanza attiva (ad esempio https://www.rigenerarsi.eu/wp/) e poi ben assunta alcuni anni fa nel progetto comunale COR-MAGIS. Non resta che vedere come è stata adesso declinata nella strumentazione urbanistica in adozione. Sarebbe veramente miope averla esclusa, o anche solo considerata marginale.
“Uno di Valli” sembra perpetuare, invero, lo sfogo personale di chi ha subito cinquant’anni fa il trauma dell’improvviso trasferimento del traffico dalle vie d’impianto medioevale alla strada esterna alle mura dove si è trovata ad abitare, ormai in epoca remota e scarsamente motorizzata, la sua famiglia di origine: poco o nulla a che vedere con il dibattito in corso.
Tuttavia la notazione finale di “Uno di Valli” dovrebbe far riflettere. Egli dice: “proviamo ..a ribaltare il problema, siano le comunità limitrofe a fregiarsi, tutte, di Comune di Siena insieme all’attuale nostro Centro Storico.Tanto il territorio extra moenia (quello fuori delle mura) di fatto per buona parte si sente estraniato e già orbita nei territori limitrofi per evidenti motivi di mobilità e di praticità”. Ci sembra un problema aperto che riapre la questione dei modi di aggregazione territoriale.
Infatti, se convince la definizione di Paolo Menicori sulla “dimensione territoriale” da non vedere come “espansione urbanistica” ma come “aggregazione di territori finalizzata si all’ottimizzazione di servizi comuni, ma soprattutto allo sviluppo di funzioni complementari”, sembra restare assente ogni valutazione “politica” e istituzionale: l’esperienza ci insegna che le “alleanze” tra Amministrazioni Comunali, da decenni predicate, non hanno mai funzionato e qualche assessore provinciale potrebbe raccontare episodi significativi di rifiuto dei “campanili” ad ogni collaborazione che si spingesse oltre le buone intenzioni.
Il problema, dunque, dovrebbe riguardare anche l’utilizzazione degli strumenti già previsti dall’ordinamento per realizzare le auspicate aggregazioni dei territori. Si cozza contro insormontabili interessi? Può essere; ma non sono gli interessi collettivi dei cittadini e delle comunità.
***a cura dell’Amministrazione pro-tempore del blog di Ideeincomune***